Autore: Umberto Braccili
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Non mi aspettavo da lei questo sos. È una ragazza decisa che si appresta a conseguire la laurea in Ingegneria Biomedica, una specializzazione che permette di progettare arti in leghe strane, pacemaker, robotica. Eppure quell’ago le faceva paura. L’accompagnai in laboratorio cercando di spiegarle che l’ago procura lo stesso dolore di “un piccolo pizzico”, ma niente. Ci mettemmo in fila per la prenotazione. In quel momento, mentre mia figlia entrava in una stanza per il prelievo, si avvicinò una signora tra i sessantacinque e i settanta anni. Una bella signora con un grande sorriso che mi chiese se ero figlio di una persona che aveva conosciuto. Sapeva tutto di mio padre: i libri che aveva scritto, le battaglie intraprese attraverso i giornali. Era tornata da Roma dopo la pensione e raccontò una storia bellissima, quasi una favola. Da bambina viveva nelle campagne di Morro d’Oro con la famiglia, agricoltori. Era la metà degli anni cinquanta e lei, che aveva appena sei anni, pascolava le pecore per portare a casa un po’ di denaro. All’epoca, mio padre era un maestro elementare e si recava ogni giorno a Morro d’Oro con la sua lambretta. Un giorno notò due bimbe sedute nel prato davanti all’Abbazia di Propezzano, e poco più in là il gregge al pascolo. Si fermò e chiese alla più grande perché non frequentasse la scuola elementare.
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