I Promessi coni
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Cioccolato, pistacchio e macedonia
Autore: Silvio Araclio
Siamo ai primi di luglio, è quasi mezzogiorno e il caldo umido è insopportabile. Angela parcheggia la vecchia Punto sotto casa nel box in salita ingranando la marcia e tirando il freno a mano, poi apre la portiera ed esce a fatica, accaldata nonostante l’aria condizionata a palla. Ora deve prendere la borsa sul sedile accanto e la spesa del Conad su quello posteriore, comincia a sudare e borbotta tra sé piccole imprecazioni. Ah, il gelato nell’altra busta, la termica: cioccolato, pistacchio e macedonia, di cui è ghiottissima. Si è fatta dare anche dei coni dal gelataio perché a lei piace leccarlo con la cialda davanti alla tv. Traffica ancora con la portiera e la borsa a tracolla, tenendo le buste insieme. Il sudore le scivola dal sottomento sul petto e un visibile alone si allarga sulla tutina attillata rossa con cinta ad anelli dorati comprata sabato l’altro al mercato. Avanza sui trampoloni verso il portone d’ingresso, soda e boterica, e mentre cerca le chiavi, non si sa come, si sente sfinita e non vede l’ora di entrare a casa, spogliarsi e darsi una rinfrescata.
Angela ha sessantacinque anni, è formosa, ha grossi seni, è bene in carne e soda, con rotoli di ciccia sui fianchi che esibisce in mise attillate. Pensa di essere ancora una donna provocante: non ha torto, perché è burrosa, volgarotta, piace ai meno giovani e soprattutto ai ragazzi, che se la smaneggerebbero nelle fantasie solitarie. Ex standina, vedova di Potito, impiegato alla Poste, ha una buona pensione e si diverte come può. Fino all’anno precedente, danza caraibica e zumba, ma ora con i dolori all’anca non può più, quindi tango! Peccato che le tocchi sempre come partner il ragioniere X, che puzza d’aglio, salutista e sudaticcio, ma altri non ce n’è, che sono tutti d’età e peggio. Non fa niente, perché Angela si diverte e spesso il sabato vanno tutti a cena, ovvero una pizza sottile e croccante come piace a lei e soprattutto ben cotta.
Ora, mentre aspetta l’ascensore, sempre occupato pensa, la porta si apre e appare Vittorio con trollone arancio, bermuda e maglietta sudata. Vittorio alto e dinoccolato, magro come un chiodo, barba e capelli neri e occhi lucenti dietro le lenti da miope incallito. Ha ventiquattro anni e studia ingegneria ad Ancona. È tornato per le vacanze, ultimo esame ieri, ma ha dimenticato le chiavi di casa nella topaia universitaria e i suoi non ci sono, ché non li avverte mai prima di partire, ergo deve aspettare le due. «Vittorio, bentornato! Ma non c’è nessuno a casa tua o sei di nuovo in partenza?». Il ragazzo le dice che sta andando al bar di sotto nell’attesa che rientri la madre dal lavoro. «Ma lascia almeno ‘sto valigione» aggiunge Angela, «anzi dai, sali da me, ti riposi un attimo e ti offro un gelato, fresco eh… non di quelli commerciali». Abitano sullo stesso pianerottolo e la finestra della camera da letto di Angela fa angolo con quella della camera di Vittorio. Sono anni che il ragazzo la spia da dietro le tendine, Angela se n’è accorta da tempo e all’inizio abbassava la tapparella, poi la cosa è diventata un gioco e con malizia, quando si sente osservata, tira la tenda in un vedi e non vedi e si spoglia divertita e indolente controllando con la coda dell’occhio se il ragazzo sia ancora l’ombra dietro la finestra di fronte. «Ah, questi giovani… sempre con gli ormoni a mille…». Entrano in ascensore, si sta un po’ stretti. Vittorio avverte l’odore dolciastro della donna, sudore misto a un profumo che gli ricorda le composizioni floreali per i morti, intanto lei parlotta e sono subito al piano.
L’appartamento: ingresso soggiorno con divanetto celeste davanti alla tv, camera da letto e poi cucinino e bagno. «Dai siediti e lascia la valigia... Vado a cambiarmi un attimo e poi ti porto un cono». Intanto corre in cucina, lascia le buste e mette in frigo il gelato, ormai allo squaglio. Il ragazzo si stravacca sul divano, è sudato e ha sete «Vuoi una Coca Cola? Serviti da solo…». Trampolando si dirige in camera da letto passando dal bagno, dove prende una salvietta di spugna. Ora è in camera, via i trampoli e la mise di acrilico che adesso le ricorda un sudario, sorride allo specchio mentre passa la spugna sotto il mento e poi sotto le ascelle. Dalla porta socchiusa Vittorio osserva la donna riflessa nello specchio. Poi Angela scompare per un attimo ed eccola di nuovo, che si toglie il reggiseno lasciando finalmente in libertà i grossi seni bianchi che cadono in avanti come due provole, e sta per passarci sotto la salvietta quando con la coda dell’occhio si accorge che Vittorio la sta osservando. Allora, maliziosa, stringe con le mani i seni sollevando appena le bracciotte dalle carni ormai tremolanti e, con leggero disappunto, guarda i solchi rossi lasciati dalle bretelle sulle spalle, ormai binari consolidati. Ma Vittorio è già dietro di lei e l’abbraccia brancicandole i seni, il respiro è forte e la bacia sul collo. Angela cerca di divincolarsi ma la sua è una resistenza passiva. «Ma che fai… sei impazzito…».
Il resto è prevedibile, Vittorio la trascina sul letto, ah, la povera coperta all’uncinetto della zia monaca! Poi tutto diventa piacevole e un po’ faticoso. Angela è gratificata, lascia fare, semmai ansima un po’ per darsi un tono e il ragazzo, che non si è neppure spogliato, conclude velocemente e si allontana dall’altra parte del letto. La donna gli scompiglia i capelli, gli dà un bacetto e si alza un po’ a fatica. «Matto, sei proprio un matto» dice, ma è contenta, divertita e diciamolo pure sfinita. «Vado a prenderti il gelato». Torna dopo un po’ con un cono cioccolato e pistacchio, la macedonia no, le piace troppo e se la conserva per la sera. Ma Vittorio è già in piedi, si è ricomposto rapidamente perché dalla finestra ha visto che la madre è tornata e ha tirato su la tapparella della cucina. «Ma aspetta un attimo» dice Angela porgendogli il cono. Lui la scosta bruscamente: «Devo rientrare, è tornata mamma, e parla piano». Va a prendere la valigia seguito da Angela in vestaglia, cono in mano e gelato che le scola sul petto dopo lo strattone. «Sei stato bene? Torna quando vuoi…» dice, mentre lui le fa cenno di tacere. La voce si perde nel leggero clic della serratura. Angela guarda il vuoto davanti a sé, poi si volta e facendo spallucce si dirige in camera. Allo specchio si vede com’è, i capelli in disordine, sfibrati, la sbavatura del rossetto e poi tutto quello spreco di cioccolato… Allora ne raccoglie quanto può col cono e ne mangia un po’, poi si dirige in bagno, cono in mano, canticchiando. «Tu sei quello che s’incontra una volta o mai più…».
È di buon umore, pensa che la vita è imprevedibile e che dovrà prepararsi qualcosa per pranzo. L’acqua scorre tiepida nel lavabo rosa e mentre si sciacqua con cura pensa che in fondo la vita è bella e vorrebbe che non finisse mai.
Allievo nei primi anni ‘70 del Centro di Arti Sceniche di Alessandro Fersen, Silvio Araclio consegue contemporaneamente la Laurea in Giurisprudenza. È fondatore e direttore artistico dell’Associazione Culturale Spazio Tre a Teramo e dirige dal 1980 il Laboratorio Teatrale Spazio Tre, la prima Scuola di Teatro fondata in Abruzzo. Dal 2003 al 2005 è docente a contratto di Comunicazione Teatrale nella Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università degli Studi di Teramo e dal 2006 è docente di Laboratorio di Comunicazione Teatrale nella stessa Facoltà. Dal 1991 è ideatore e direttore artistico, di Maggio Fest, festival di cinema, musica, teatro e danza, e dal 1996 di Scena d’autunno, rassegna di teatro e musica da camera, prodotti da Spazio Tre. Dal 1994 è regista e coordinatore del Premio Teramo. Per la Fondazione Tercas nel 2007 è ideatore con Daniela Attanasio e direttore di TERAMO POESIA. Ha lavorato e collaborato con il Teatro Stabile d’Abruzzo e con le più importanti compagnie e istituzioni teatrali abruzzesi e marchigiane. Tra gli anni ‘80 e ‘90 ha diretto numerosi radiodrammi e programmi radiofonici prodotti dalla sede RAI di Pescara. È autore di testi teatrali e radiodrammi. Ha curato numerose regie liriche e teatrali.